Bancarotta “riparata”: cos’è e come funziona

La restituzione delle somme sottratte reintegra il patrimonio e perciò evita un danno ai creditori e la condanna penale; ma va fatta prima della dichiarazione di fallimento.

È bella la vita quando si fanno le vacanze a spese dell’azienda: com’è successo ad un manager che era andato diverse volte in villeggiatura in famose località turistiche, estive ed invernali, e aveva pagato con la carta di credito della società. Con l’occasione aveva acquistato anche alcuni abiti di marca. Totale costo a carico della ditta: 78mila euro.

Poi però per queste “spese pazze”, certamente non giustificate da nessuna necessità aziendale, ha dovuto pagare un conto più salato: è stato accusato di bancarotta fraudolenta, dopo che l’impresa era fallita. La condanna sembrava scontata e infatti è arrivata da parte del tribunale e della Corte d’Appello. Ma a sorpresa, la Corte di Cassazione ha ribaltato il verdetto e lo ha assolto.

Ti chiederai com’è possibile che il dirigente “spendaccione”, che aveva fatto un uso così disinvolto dei fondi aziendali, abbia ottenuto questo risultato a suo favore, andando indenne dalle severe conseguenze penali previste in simili casi.

Ma la spiegazione c’è ed è legittima: egli aveva rimborsato interamente la società prima che fallisse (rinunciando alla buonuscita e alla parte di retribuzione che non gli era stata corrisposta) e questo fa venire meno il reato.

È questa la bancarotta “riparata” e ora vedremo cos’è e come funziona. Il rimedio è efficace ma i requisiti sono stringenti, come ha sottolineato la Suprema Corte indicando i casi in cui è possibile: non è sufficiente restituire alcuni beni sottratti all’impresa ma è necessario reintegrare interamente il suo patrimonio, per evitare che il pericolo alla garanzia dei creditori diventi concreto. E bisogna farlo prima che intervenga la sentenza dichiarativa del fallimento, altrimenti il reato di bancarotta fraudolenta rimane.

La bancarotta fraudolenta

La bancarotta fraudolenta è un reato [1] che avviene quando il patrimonio di un imprenditore fallito viene sottratto alle pretese dei creditori. Nelle ipotesi più gravi, è punito con la pena da 3 a 10 anni di reclusione.

Può essere commessa sia da un imprenditore soggetto a fallimento sia dai suoi soci, se si tratta di società di persone, ed anche dai collaboratori, come ad esempio gli amministratori e i dirigenti dell’azienda.

La condotta è molto ampia e consiste nel distrarre, occultare, dissimulare, distruggere o dissipare, in tutto o in parte, i propri beni: in tutti questi casi, si ha una bancarotta patrimoniale, finalizzata a creare un’insolvenza e, dunque, a lasciare a bocca asciutta i creditori o alcuni di loro.

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